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:: CONSIGLIO
SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA ::
- Nona Commissione – Tirocinio e Formazione Professionale -
INCONTRO DI STUDIO -
26 e 28 aprile 2004, n. 1152 |
L’ESECUZIONE FORZATA |
La gestione attiva:
nomina del custode, compensi e direttive esecutive, accesso
all’immobile, abitazione, locazioni opponibili, liberazione
dell’immobile;
vendita senza incanto. |
dott. Roberto Fontana |
giudice presso il
Tribunale di Monza |
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Nell’ambito di una sessione dedicata essenzialmente
all’illustrazione dei “protocolli
operativi” elaborati nella prassi giudiziaria al fine di assicurare
“un governo informato,
efficiente, trasparente delle procedure esecutive immobiliari” la
relazione assegnatami
riguarda l’attività del custode giudiziario e la vendita senza
incanto.
L’accoppiamento dei temi non è ovviamente casuale in quanto il
“protocollo operativo”
creato nella seconda metà degli anni 90 dai giudici dell’esecuzione
del Tribunale di
Bologna, sviluppato ulteriormente nell’esperienza del Tribunale di
Monza tra il 1999 e il
2001 e quindi seguito, con l’introduzione di importanti varianti, in
altri ormai numerosi
uffici giudiziari, è proprio incentrato sulla netta opzione per la
vendita senza incanto e sulla
nomina, in pressoché tutte le procedure esecutive, del custode
giudiziario in sostituzione del
debitore.
Prima di entrare nel merito degli argomenti specifici della
relazione è opportuno qualche
breve cenno di carattere generale a questo “protocollo operativo” al
fine di una migliore
comprensione della filosofia che lo sottende.
L’opzione di fondo è rappresentata dall’assunzione di una
prospettiva di risultato come
prospettiva propria anche dell’attività del magistrato alla luce dei
principi costituzionali
riguardanti la buona amministrazione, l’effettività della tutela
giurisdizionale ed ora la
ragionevole durata del processo.
In questa prospettiva il punto di partenza è stata l’individuazione
di due obbiettivi:
riduzione della durata del processo esecutivo, dal deposito della
certificazione ipocatastale
alla distribuzione del ricavato, entro il limite massimo dei 18
mesi; vendita dei beni pignorati
a prezzi in linea con quelli del normale mercato immobiliare.
A questo ha fatto seguito l’analisi del concreto funzionamento delle
sistema delle
esecuzioni immobiliari per accertare tutti i fattori di criticità,
ossia i fattori ostativi al
raggiungimento degli obbiettivi delineati, e per individuare le
soluzioni procedurali ed
organizzative compatibili con l’attuale quadro normativo e quindi
introducibili mediante
l’esercizio dei poteri che sono già ora attribuiti al giudice
dell’esecuzione. L’analisi ha
riguardato essenzialmente i seguenti oggetti: tempi e modalità
dell’attività delle parti, del
giudice e degli ausiliari nell’ambito del processo; interazione tra
sistema delle vendite
immobiliari giudiziarie e normale mercato immobiliare; attività
delle cancellerie.
Riguardo al primo profilo si è pervenuti alla conclusione che il
processo esecutivo deve
articolarsi di regola in solo tre udienze (udienza ex art. 569
c.p.c., udienza per l’esame delle
offerte e la gara tra gli offerenti, udienza per l’esame del
progetto di distribuzione) e che in
particolare alla prima udienza, da tenersi entro il termine massimo
di 6 mesi dal deposito
della documentazione ipocatastale, si deve pervenire con la perizia
di stima già redatta e già
comunicata a tutte le parti a cura del perito al fine di consentire
l’immediata pronuncia
dell’ordinanza di vendita. Inoltre si è verificato che solo la
delega di alcune attività a degli
ausiliari, in presenza di una forte accelerazione dei tempi di
definizione delle procedure, può
assicurare l’efficienza in un contesto caratterizzato da risorse
limitate.
Quanto al rapporto tra vendite giudiziarie e normale mercato
immobiliare si sono
individuate nelle seguenti circostanze le principali cause della
scarsa partecipazione alle aste
e del conseguente monopolio di fatto instaurato da cerchie ristrette
di soggetti operanti in
un’ottica speculativa: inadeguatezza delle forme pubblicitarie;
difficoltà di accesso alle
perizie e loro carente contenuto informativo soprattutto con
riferimento allo stato di
occupazione del bene; impossibilità di visitare l’immobile da parte
degli interessati
all’acquisto; frequenza delle turbative d’asta; difficoltà di
accesso al finanziamento bancario
per il pagamento del prezzo; incertezza sui tempi di effettiva
immissione dell’acquirente
nella detenzione.
Con riferimento a ciascuno di questi fattori si sono quindi
elaborate delle specifiche
soluzioni compatibili con le norme vigenti e funzionali, nel loro
insieme, ad ottenere il
risultato del pieno inserimento delle vendite giudiziarie degli
immobili nel normale mercato
immobiliare, presupposto essenziale per assicurare la vendita della
gran parte dei beni già al
primo tentativo e in ogni caso per assicurare, a garanzia sia dei
creditori sia del debitore
esecutato, la realizzazione del giusto prezzo ossia del normale
prezzo di mercato. In questo
contesto si collocano le scelte operate riguardo alla forma della
vendita ed alla nomina del
custode giudiziario, il cui significato, in questa prospettiva di
analisi e ripensamento in
chiave funzionale di tutti i singoli segmenti che integrano la
procedura espropriativa
immobiliare, va colto principalmente in relazione alle problematiche
rappresentate
dall’esistenza delle turbative d’asta, dall’impossibilità di
visitare l’immobile da parte degli
interessati all’acquisto e dall’incertezza sui tempi di effettiva
immissione dell’acquirente
nella detenzione.
Per completare questa premessa introduttiva, non potendosi,
ovviamente, illustrare gli
altri tasselli del modulo elaborato, va rilevato che gli obbiettivi
delineati sono stati
pienamente raggiunti, per cui si può constatare che negli uffici
giudiziari che, pur con le
opportune varianti, lo hanno adottato la percentuale delle aste
sfociate nella vendita è passato
dal 5-15% al 70%, i prezzi di vendita sono quelli di mercato e la
durata delle nuove
procedure esecutive, salvi i casi di rallentamento richiesto dalle
parti, è al di sotto dei 18
mesi e in molti ipotesi scende a 12-13 mesi.
Va inoltre sottolineato che, per quanto riguarda le opzioni
interpretative compiute, pur in
presenza di pochissimi (ed in alcuni casi in assenza completa di)
precedenti
giurisprudenziali le impugnazioni proposte sono state rarissime, per
cui può affermarsi che il
“protocollo operativo” introdotto è risultato, alla luce della
verifica della dialettica
processuale nell’arco temporale di ormai vari anni, molto solido.
In altri termini le scelte processuali e le soluzioni organizzative
adottate costituiscono un
tentativo, sfociato in risultati indubbiamente positivi, di
concretizzare il dovere del giudice di
perseguire l’obbiettivo dell’efficienza in un contesto, come quello
del processo esecutivo, in
cui l’obbiettivo si specifica non solo sul piano temporale della
durata del processo ma anche
sul piano dei valori dei realizzo dei beni sul mercato, con
conseguente necessità per il
giudice di riflettere e di compiere delle scelte con riferimento non
solo ai meccanismi interni
del processo ( ad esempio il numero delle udienze) ma anche
all’interazione con la realtà
extragiudiziaria del mercato immobiliare: il perseguimento
dell’efficienza implica infatti
l’assunzione di parametri di razionalità tecnica che, nel caso di
attività giudiziale sfociante
nella collocazione di beni sul mercato (in sede di procedure
esecutive ordinarie o in sede di
procedure concorsuali), impone la massima attenzione alle effettive
dinamiche del mercato
ed alle esigenze che condizionano l’incontro tra la domanda e
l’offerta, perché se da queste
esigenze si prescinde la conseguenza è che il bene viene liquidato a
condizioni deteriori in
contrasto con il dovere dell’efficienza e con lesione dei diritti
delle parti coinvolte nel
processo. |
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2.1.
La custodia dei beni nella disciplina delle procedure
espropriative immobiliari. |
a) il debitore-custode e la sua sostituzione con un terzo:
Come noto nelle procedure esecutive immobiliari il debitore, per
effetto del
pignoramento, è costituito automaticamente custode del bene
pignorato e di tutti gli
accessori (art. 559, comma 1, c.p.c.). L’art. 559, comma 2, c.p.c.
prevede che su istanza del
creditore pignorante o di un creditore intervenuto il giudice
dell’esecuzione può nominare
custode una persona diversa dal debitore.
In ogni caso è da tempo pacifico il carattere pubblicistico della
figura del custode
venendo inclusa, dall’art. 65 c.p.c., tra gli ausiliari di
giustizia.
Quindi, quando ad esercitare la custodia sia il debitore, la sua
posizione di custode va
tenuta distinta da quella di debitore esecutato: egli è comunque un
privato che ope legis
viene incaricato di un pubblico ufficio che deve esercitare come
longa manus degli organi
giudiziari, svolgendo le attività previste dalla legge secondo le
direttive eventualmente
impartitegli dal giudice, richiedendo le necessarie autorizzazioni e
con obbligo di rendiconto. Questa netta differenziazione tra debitore - custode e
debitore-esecutato è resa
particolarmente evidente dalla previsione di cui all’art. 560, comma
3, c.p.c. (norma su cui si
tornerà in sede di esame delle problematiche inerenti la liberazione
dell’immobile nel corso
della procedura) che stabilisce che il debitore può continuare ad
abitare nell’immobile
pignorato, occupando i locali strettamente necessari a lui e alla
sua famiglia, solo con
l’autorizzazione del giudice. La norma conferma che per effetto
della notificazione del
pignoramento si verifica un’interversione del possesso, per cui da
quel momento il debitore
perde il possesso privatistico del bene e diviene titolare di un
possesso iuris publici che deve
esercitare secondo le finalità e nei limiti suoi propri: da qui
discende che il debitore esecutato
( non essendo più nella posizione di esercitare liberamente le
facoltà di godimento spettanti
al proprietario e non sussistendo, d’altro canto, una correlazione
funzionale necessaria tra il
godimento del bene da parte del debitore e le finalità della
custodia) se intende continuare ad
abitare nell’immobile pignorato deve chiedere al giudice la relativa
autorizzazione che, in
base ad una valutazione di funzionalità o quantomeno di
compatibilità con le esigenze di una
gestione efficiente della procedura espropriativa, potrà essere
accolta, accolta parzialmente
(con limitazioni temporali o spaziali) o negata.
Posta l’identità di funzioni tra custode – debitore e custode – non
debitore, in ordine alla
sostituzione del debitore ci si è chiesto se possa essere disposta
d’ufficio ai sensi dell’art. 66
c.p.c. a prescindere dall’istanza di un creditore. Questa soluzione
parrebbe in linea generale
esclusa dalla specifica previsione dell’art. 559, comma 2, che, in
forza del principio di
specialità, dovrebbe prevalere sulla norma generale dell’art. 66,
anche se autorevole dottrina
ha ritenuto che si possa procedere alla sostituzione “anche
d’ufficio nonostante la lettera
dell’art. 559 c.p.c., perché non si tratta di istanza condizione del
provvedimento”.
Ad una diversa conclusione può però pervenirsi quando si è in
presenza di violazioni da parte del custode-debitore dei suoi doveri
inerenti la funzione di custodia (ad esempio: attività di
danneggiamento; impedimento dell’accesso del perito estimatore
all’immobile pignorato; mancato deposito del rendiconto trimestrale
e dei canoni percepiti nel caso di immobile locato a terzi;
impedimento di qualsiasi visita all’immobile in vendita da parte di
terzi interessati all’acquisto ecc). Trattandosi di un ausiliario di
giustizia è logico ritenere che, in presenza di violazione dei
doveri, il giudice possa esercitare nei suoi confronti il generale
potere di sostituzione d’ufficio di cui all’ art. 66 c.p.c.
In altri termini il dettato normativo potrebbe essere così
interpretato: quando il debitore-custode non viola alcun dovere
inerente la sua funzione la sua sostituzione con un terzo non può
prescindere ai sensi dell’art. 559 c. 2 dall’istanza del creditore
(fatta salva la possibilità di eventuali iniziative d’impulso in tal
senso del giudice, nell’esercizio delle sue funzioni di direzione
del processo, sotto forma d’invito alle parti in una prospettiva di
migliore funzionamento della procedura); quando emerge una
violazione il giudice, ai sensi dell’art. 66 c.p.c., può provvedere
alla sostituzione d’ufficio.
Quanto alla legittimazione a proporre l’istanza l’unica sentenza
pubblicata al riguardo è nel senso di riconoscerla anche al
creditore intervenuto non munito di titolo esecutivo sul presupposto
che la sostituzione del custode non rappresenta un atto d’impulso
del processo esecutivo in senso proprio ma un atto attinente alla
conservazione ed amministrazione del bene 5 .
La sostituzione va disposta con ordinanza previa audizione del
debitore. Né l’art. 66 né l’art. 559, a differenza ad esempio delle
norme in materia di consulente tecnico d’ufficio, accennano alla
necessità della sussistenza di particolari motivi per operare la
sostituzione.
Da questo, oltre che dall’espressa esclusione dell’impugnabilità del
provvedimento (art. 66 comma 3 c.p.c.), la dottrina prevalente
deduce che la sostituzione non richiede l’esistenza di specifici
presupposti sottolineando come questa soluzione sia coerente con “il
carattere fiduciario della funzione del custode”.
Le pronunce giurisprudenziali in materia conosciute sono pochissime
e riguardano dei casi di sostituzione motivata con riferimento a
violazioni di specifici obblighi (mancato accantonamento dei canoni;
mancata presentazione del rendiconto; locazione di immobile senza
autorizzazione). Esse non appaiono tuttavia molto significative in
quanto la giurisprudenza nettamente prevalente ha finora seguito
l’opinione dottrinale che non ritiene proponibile contro l’ordinanza
di sostituzione del custode, non trattandosi di un atto esecutivo in
senso proprio ma di un provvedimento meramente conservativo a
contenuto ordinatorio, né l’opposizione ex art. 617 c.p.c. né il
ricorso per cassazione con la conseguenza che, in assenza di un
rilevante contenzioso in materia, non appare possibile conoscere
l’opinione dei giudici riguardo al carattere del potere di
sostituzione del custode ed in particolare riguardo alla necessità
di specifici inadempimenti di obblighi.
In una recente ordinanza un giudice del Tribunale di Milano prende
espressamente posizione affermando che “il potere del giudice di
sostituire il debitore-custode ai sensi del 2° comma dell’art. 559
c.p.c. ricorre quando il debitore si sia mostrato inaffidabile
violando gli obblighi imposti dalla legge o quando non sia stato
autorizzato ad abitare l’immobile pignorato”. L’estensore perviene a
questa conclusione muovendo dalla comparazione della disciplina
della custodia nelle procedure esecutive mobiliari (il debitore può
essere nominato custode solo se vi è il consenso del creditore) e
nelle procedure esecutive immobiliari (il debitore è costituito
automaticamente custode con il pignoramento dell’immobile) per
dedurne che, rappresentando la nomina di un terzo a custode
un’eccezione nell’ambito delle procedure esecutive immobiliari, la
decisione in tal senso del giudice deve essere esercitata sulla base
di un criterio desumibile dalla legge e identificabile nel mancato
rispetto dei doveri del custode specificati nell’art. 560 c.p.c.
Nell’ordinanza si esclude che in questa prospettiva possano assumere
rilievo valutazioni in ordine alla possibilità di visitare
l’immobile da parte degli interessati all’acquisto.
Una diversa tesi è ovviamente espressa da chi opta per la
sostituzione tendenzialmente generalizzata del debitore nella
custodia dell’immobile pignorato. E’ in primo luogo da rilevare, per
una migliore comprensione di questa opinione, che la questione della
sostituzione del debitore nella custodia non va confusa con la
questione dell’autorizzazione al debitore ad abitare l’immobile
pignorato, in quanto le relative decisioni, per quanto in concreto
possano coincidere temporalmente e confluire anche in un’unica
ordinanza, si pongono su due piani distinti in quanto una attiene
all’esercizio del munus publicum di custode e l’altra attiene alla
sfera privata del debitore ed in particolare alla sua possibilità di
continuare a godere di un bene per il quale non può più esercitare
liberamente le facoltà del proprietario. Tralasciando quindi ogni
considerazione riguardo ai presupposti del diniego
dell’autorizzazione ad abitare l’immobile (su cui si tornerà
successivamente) in quanto non conferente, si ritengono decisivi i
seguenti rilievi: la custodia dell’immobile pignorato è conferita
ope legis al debitore non per soddisfare un interesse del debitore
(tanto è che non potrebbe rinunciare alla funzione di custode) ma
perché questa soluzione è la più funzionale rispetto alle modalità
di perfezionamento del pignoramento (per il quale è sufficiente
l’adempimento formale della notificazione dell’atto senza che
l’ufficiale giudiziario debba porre in essere un’attività di
apprensione materiale del bene ) ed alle esigenze di conservazione e
gestione del bene nella fase immediatamente successiva al
pignoramento (è assicurata infatti l’automatica identificazione del
responsabile della conservazione dal momento stesso della
notificazione del pignoramento – o, secondo alcuni, dalla
trascrizione nei registri immobiliari – e la soluzione non presenta
particolari inconvenienti non sussistendo pericolo di sottrazione
del bene ed essendo limitato, nel breve termine, il rischio di
deterioramento); posto che l’art. 559 attribuisce al giudice il
potere di sostituire il debitore nella custodia utilizzando una
formula molto ampia che, salvo il riferimento all’istanza del
creditore, ricalca in sostanza quella dell’art. 65, non vi è dubbio
che la violazione degli obblighi indicati nell’art. 560 imponga
l’adozione del provvedimento ma non vi è alcuna ragione per la
limitazione della sostituzione a questi casi; è coerente con la
formulazione della norma (se il legislatore avesse inteso ancorare
l’esercizio del potere di sostituzione di cui all’art. 559 alla
violazione dei doveri tipizzati nel successivo art. 560 avrebbe
inserito un espresso riferimento) ma soprattutto con la finalità
dell’istituto della custodia (tutela dell’interesse dei creditori a
conservare e valorizzare l’immobile pignorato) consentire la
sostituzione del debitore nella custodia in tutti i casi in cui il
giudice ritenga la scelta funzionale ad una migliore conservazione e
amministrazione del bene, senza che a questo possa ostare un diverso
interesse proprio del debitore che copre il ruolo di custode pur
sempre quale munus publicum; conservazione ed amministrazione del
bene non vanno intese solo come attività volte ad evitarne il
deterioramento materiale ed a incassare i canoni nel caso di
locazione a terzi, dovendosi intendere la conservazione in una
prospettiva funzionale come conservazione del suo valore economico
(nella procedura esecutiva il bene rileva come valore di scambio) e
quindi comprendendovi ogni attività volta ad evitare la svalutazione
del bene nelle more della procedura e ad assicurare conseguentemente
la realizzazione del suo effettivo valore di mercato in sede di
vendita (tra cui ad esempio liberare il bene da terzi occupanti
senza titolo, consentire l’accesso al bene da parte degli
interessati all’acquisto per prenderne visione) e dovendosi
ricondurre all’amministrazione anche attività di regolarizzazione
urbanistica, di regolarizzazione catastale, di definizione di
eventuali contenziosi in ordine ad oneri accessori o modalità di
godimento del bene; è difficilmente discutibile che per lo
svolgimento di queste attività offra maggiori garanzie sia sotto il
profilo della diligenza che della competenza un soggetto che sia
diverso dal debitore e che operi in veste professionale.
In altri termini si ritiene che non vi sia alcun ostacolo normativo
a che le riflessioni sull’essenzialità della figura del custode
professionale ai fini dell’efficienza delle procedure esecutive
immobiliari (riflessioni fondate su un’analisi approfondita dei
meccanismi di concreto funzionamento delle procedure e confermate in
modo inequivocabile dai risultati raggiunti con le c.d. nuove
prassi) siano poste alla base della motivazione dei provvedimenti di
sostituzione del debitore, non risultando che alcuna norma imponga
di sacrificare il perseguimento dell’efficienza ad un diverso
interesse del debitore, posto che la previsione dell’assunzione
automatica della veste di custode da parte del debitore per effetto
del pignoramento non appare espressione di una particolare tutela di
un suo interesse allo svolgimento della funzione bensì risponde
unicamente all’esigenza funzionale di assicurare l’immediata
individuazione di un responsabile della custodia del bene. |
b) poteri e doveri del custode e poteri autorizzatori e di direttiva
del giudice dell’esecuzione: |
^ |
L’art.
65 c.p.c. individua le funzioni del custode nella conservazione e
nell’amministrazione dei beni pignorati, riferendosi quindi sia alle
attività di conservazione materiale del bene affidatogli sia alla
sua gestione per mantenerne l’utilità economica ed acquisire i
frutti.
Pertanto al custode spettano ex lege i poteri inerenti alla
conservazione e all’amministrazione ordinaria del bene, con
l’espressa eccezione della concessione del bene in locazione che è
sempre soggetta all’autorizzazione del giudice (art. 560 comma 2
c.p.c), risultando altrimenti inopponibile ai creditori e
all’acquirente.
Con riferimento all’esecuzione immobiliare il codice parrebbe
distinguere tra custodia e amministrazione prevedendo espressamente
la figura dell’amministratore giudiziario. Ma è stato evidenziato
come la distinzione tra la figura del custode e la figura
dell’amministratore giudiziario, che riflette non una
contrapposizione tra custodia e amministrazione (risultando pacifico
alla luce della norma generale dell’art. 65 c.p.c. che la custodia
implica sia attività di conservazione sia di amministrazione e non
potendosi d’altro canto neppure sul piano concettuale nettamente
distinguere i due tipi d’attività) ma semmai una differenziazione
tra “amministrazione conservativa” e “amministrazione gestoria” ,
era stata formulata nella prospettiva di tempi fisiologici della
procedura esecutiva immobiliare molto ristretti, per cui di norma
non avrebbe dovuto assumere concreta rilevanza una problematica di
gestione attiva del bene: quella dell’amministratore giudiziario è
quindi una particolare figura di custode, soggetta alla disciplina
generale dell’art. 65 c.p.c. e contraddistinta dalla marcata
finalità “gestoria” e dai requisiti soggettivi richiesti per la
nomina ( senza il consenso di tutti i creditori non può essere
nominato amministratore il debitore e di regola è nominato invece il
creditore o istituto specializzato) ; d’altro canto, a dimostrazione
della sostanziale omogeneità delle funzioni, la disciplina del
rendiconto dell’amministratore giudiziario è espressamente
richiamata nell’art. 560 c.p.c. per i rendiconti del debitore e del
terzo nominato custode. L’enucleazione a livello legislativo della
figura dell’amministratore giudiziario, la cui nomina presuppone un
incanto deserto, non esclude quindi l’attribuzione al custode ex
art. 559 c.p.c. dei compiti di amministrazione gestoria, che possono
assumere particolare rilevanza in ragione delle specifiche
caratteristiche del bene e dell’eventuale prolungamento dei tempi
della procedura.
Tra le attività conservative vengono in considerazione anzitutto
quelle volte ad assicurare l’integrità materiale e ad evitare quindi
danneggiamenti o deterioramenti mentre tra le attività di
amministrazione gestoria la più frequente è ovviamente quella
riguardante i rapporti di locazione in corso o, eventualmente, anche
la stipulazione di nuovi contratti di locazione.
Ma tra questi estremi si colloca una variegata serie di attività
che, come si è già accennato, nelle nuove prassi innovative, nella
prospettiva di piena valorizzazione delle potenzialità del ruolo del
custode giudiziario ai fini della maggiore efficienza delle
procedure esecutive, tendono via via ad arricchirsi ed a
caratterizzarsi soprattutto in funzione di una migliore collocazione
del bene nel mercato immobiliare: regolarizzazione amministrativa
del bene, acquisizione di elementi informativi completi e certi
sullo stato del bene e sugli eventuali diritti di terzi opponibili,
attività informativa nei confronti dei terzi potenziali acquirenti,
gestione delle visite all’immobile da parte degli interessati
all’acquisto, liberazione dell’immobile nelle more della procedura.
E’ indubbio che questa “reinterpretazione” della funzione del
custode sul piano operativo, che ne privilegia i profili dinamici in
una specifica prospettiva funzionale, tende a spostarne il
baricentro dall’attività prettamente conservativa o anche di
amministrazione nel senso tradizionale d’incasso dei canoni ad
un’attività sostanzialmente di “gestione” attiva della collocazione
del bene sul mercato (con forti a analogie con le attività
liquidatorie del curatore fallimentare). Ma è altrettanto indubbio
che questo è essenzialmente l’effetto di una combinazione
programmata di specifiche attività ognuna delle quali è
indiscutibilmente riconducibile nel novero delle attività di
conservazione o di amministrazione del bene spettanti al custode:
non pare dubbio ad esempio che, quando un bene è in vendita, rientri
tra i compiti di un qualsiasi custode assicurare che gli interessati
all’acquisto possano accedervi per prenderne visione.
Nell’ambito delle attività del custode, ai fini di disciplinarne il
rapporto con i poteri del giudice dell’esecuzione, in dottrina si è
distinto tra poteri minimi (correlati alla conservazione del bene ed
al mantenimento della produttività), poteri che il custode non ha
direttamente ma che può derivare da un provvedimento generale di
autorizzazione del giudice e poteri che il custode non ha ma che il
giudice può attribuirgli solo caso per caso e secondo circostanze
motivate.
Tra i primi, che il custode esercita senza particolari
autorizzazioni, rientrano ad esempio l’incasso e l’aggiornamento dei
canoni, il pagamento delle spese condominiali, l’effettuazione
d’interventi di manutenzione ordinaria.
Tra le attività che possono essere autorizzate anche tramite
direttive generali sono indicate la concessione in locazione
dell’immobile, il rinnovo del contratto alla scadenza, l’invio della
disdetta e l’avvio dell’azione di rilascio. Devono invece essere
autorizzati di volta in volta gli atti che eccedono la normale
gestione del bene e si fa l’esempio di un mutuo fondiario per la
manutenzione straordinaria dell’immobile.
In ogni caso il giudice, del quale il custode è ausiliare, può
impartire direttive ed in particolare fissare criteri e limiti
dell’amministrazione, ritenendosi che la norma di cui all’art. 676
c. 1 c.p.c. in materia di sequestro giudiziario sia espressione di
una regola generale valida per tutte le custodie.
Specularmene il custode può sempre richiedere direttive al giudice.
Tra i poteri – doveri del custode è compreso ovviamente quello di
accedere all’immobile tutte le volte in cui risulti utile allo
svolgimento dell’incarico: è evidente che quando l’immobile è
occupato dal debitore esecutato e questi non assume un atteggiamento
collaborativo, mentre ai fini della liberazione definitiva del bene
l’orientamento prevalente è che il custode debba eseguire l’ordine
del giudice nelle forme di cui all’art. 605 ss c.p.c. tramite
l’ufficiale giudiziario (previa notifica atto di precetto e avviso
di sloggio ), per il
semplice accesso il custode (essendo già nel possesso del bene per
effetto della nomina) può procedere direttamente con l’ausilio di un
fabbro e l’assistenza della forza pubblica. E’ ovvio che se il bene
è occupato da terzo in forza di titolo opponibile il custode può
accedervi esercitando i diritti del proprietario ma in caso di
mancata collaborazione deve agire giudizialmente richiedendo di
norma un provvedimento d’urgenza.
Riguardo alle modalità di svolgimento dei propri compiti da parte
del custode è pacifico che egli possa avvalersi della collaborazione
materiale di altri che lo coadiuvino temporaneamente, sotto il suo
personale controllo e sotto la sua responsabilità, all’esecuzione di
qualche specifica attività.
Il dovere fondamentale del custode è quello esercitare la custodia
da “buon padre di famiglia”.
Egli deve svolgere i compiti conservazione ed amministrazione con
diligenza e nel rispetto delle direttive del giudice e non deve
compiere atti per cui occorra l’autorizzazione del giudice come la
concessione in locazione del bene.
Come si è già evidenziato con riferimento alla problematica della
sostituzione del debitore nella custodia tra i doveri del custode
(il problema si pone ovviamente per il debitore-custode) rientra
anche quello di consentire l’accesso all’immobile degli altri
ausiliari del giudice come l’esperto nominato per la stima e degli
interessati all’acquisto dell’immobile al fine di prendere visione
(attività funzionalmente necessaria per evitare deprezzamenti del
bene in sede di vendita).
Il custode, per effetto del rinvio all’art. 593 c.p.c. contenuto
nell’art. 560 c.p.c., il custode deve con cadenza trimestrale
depositare in cancelleria il conto della gestione e le rendite
eventualmente incassate e al termine il rendiconto finale. E’
peraltro evidente che se non si tratta di immobile oggetto di
locazione il custode non deve depositare un vero e proprio
rendiconto ma una relazione sull’attività svolta con giustificazione
delle spese sostenute. |
E’
pacifica la legittimazione processuale del custode per la tutte le
azioni relative ai compiti di conservazione e amministrazione del
bene e , secondo la dottrina prevalente, la legittimazione non
deriva da una posizione di rappresentanza o di sostituzione
processuale bensì dall’essere rappresentante dell’ufficio pubblico
di custodia.
Quindi il custode è certamente legittimato ad agire per il pagamento
dei canoni, a richiedere la convalida dello sfratto per morosità, a
proporre azione di rilascio, ad agire per il risarcimento danni nei
confronti degli occupanti per il ritardo nel rilascio, a richiedere
la convalida della licenza per finita locazione, a proporre azioni
per la conservazione del bene quali nuova opera o danno temuto.
E’ riconosciuta la legittimazione attiva e passiva anche con
riferimento alle azioni possessorie.
L’orientamento è invece generalmente negativo per le controversie
relativi al di diritto di proprietà ed altri diritti reali,
ritenendosi che la relativa legittimazione rimane in capo al
proprietario esecutato.
Secondo l’opinione ampiamente prevalente non è richiesta
l’autorizzazione del giudice per agire in giudizio quando l’azione
riguarda la conservazione o l’ordinaria amministrazione del bene. |
Fino al 1996, quando i
magistrati della IV° Sezione del Tribunale di Bologna e un gruppo di
avvocati del relativo foro elaborarono e attuarono il progetto di
riorganizzazione delle procedure esecutive immobiliari incentrato
sulla valorizzazione della vendita senza incanto e sulla
sostituzione del debitore nella custodia con un professionista
specializzato, quella del custode giudiziario era, nella prassi dei
tribunali italiani, una figura quasi dimenticata o comunque con uno
spazio modestissimo.
Questa (nonostante che, dove è stato seguito l’esempio di Bologna,
il volto delle procedure esecutive immobiliari sia radicalmente
cambiato con il raggiungimento di standard elevati di efficienza in
linea con quello degli altri paesi europei) è ancora oggi la realtà
della gran parte degli uffici giudiziari.
Nella prassi tradizionale la nomina del custode giudiziario in
sostituzione del debitore è chiesta soltanto in casi in cui
risultano in corso dei contratti di locazione e il creditore si pone
il problema di acquisire alla procedura i relativi canoni.
Va peraltro rilevato che in realtà è assai frequente che il
creditore e il giudice neppure sono a conoscenza del fatto che il
bene non è occupato dal debitore ma da un terzo in forza di un
contratto di locazione e che i canoni sono percepiti e trattenuti
dal debitore (e ciò perché il perito estimatore, non trovando la
collaborazione del debitore, redige la perizia senza accedere
all’immobile oppure perché la perizia viene redatta molto tempo -
anche qualche anno - dopo il pignoramento e pertanto fino a quel
momento nessuno è a conoscenza dello stato di occupazione del bene).
Ma in gran parte dei casi la sostituzione del custode non è di
disposta neppure quando è emerso che il bene è occupato da un terzo,
sia che l’occupazione risulti fondata su un contratto efficace sia
che risulti posta in essere in violazione dei doveri del
debitore-custode
di cui all’art. 560 c.p.c: questo accade perché, per effetto di un
atteggiamento di scarsa attenzione ai meccanismi reali influenti sul
funzionamento della procedura, l’unica valutazione che è compiuta è
quella in ordine all’entità del canone e non si considera ad esempio
quale impatto estremamente negativo possa avere sui potenziali
interessati all’acquisto (in particolare per chi intende acquistare
l’immobile per destinarlo a propria casa d’abitazione) ogni
incertezza sui tempi di effettiva immissione nel godimento del bene
occupato da terzi (in qualche si è addirittura verificato che
l’occupante ha fatto valere a vendita avvenuta l’usucapione con
conseguente evizione dell’acquirente) e invece l’effetto
estremamente positivo della certezza che l’immobile è liberato dagli
occupanti senza titolo a cura di un custode o che questi, nel caso
di vendita di un bene oggetto di un contratto locazione opponibile,
abbia provveduto ad acquisire il titolo per la futura liberazione
intimando la licenza per finita locazione.
La sostituzione non è peraltro solitamente disposta anche in
presenza di atteggiamenti del debitore di carattere ostruzionistico
come ad esempio quando viene ostacolato l’accesso del perito: in
molti uffici risultano moltissime le perizie redatte senza che il
perito abbia potuto visionare l’immobile,con gravi conseguenze sul
loro contenuto informativo (ad es. con riferimento alle modifiche
degli spazi introdotte rispetto alle risultanze della scheda
catastale) e quindi sulla loro affidabilità, il che non si sarebbe
verificato se si fosse provveduto subito alla nomina del custode.
In sostanza si ricorre alla nomina del custode giudiziario in
ipotesi, numericamente abbastanza limitate, in cui la procedura ha
oggetto per lo più immobili locati ad uso commerciale o produttivo. |
Nel progetto elaborato
a Bologna e sviluppato poi a Monza 25 e più recentemente in altre
realtà giudiziarie (tra i vari uffici, si possono ad esempio citare
Como, Patti, Lecce, Lodi, Busto Arsizio, Lecco) al custode
giudiziario è attribuita principalmente, in aggiunta ai compiti
tradizionali di verificare lo stato di conservazione e di incassare
gli eventuali canoni, la funzione di compiere tutti gli adempimenti
necessari per collocare l’immobile sul mercato alle condizioni che
assicurino il pieno realizzo del suo valore e soprattutto: eventuale
regolarizzazione amministrativa del bene, acquisizione di elementi
informativi completi e certi sullo stato del bene e sugli eventuali
diritti di terzi opponibili, attività informativa nei confronti dei
terzi potenziali acquirenti, gestione delle visite all’immobile da
parte degli interessati all’acquisto, liberazione dell’immobile
nelle more della procedura e la sua consegna all’acquirente.
Nel caso di Monza la consapevolezza della decisività di una figura
come il custode per
l’efficienza del processo esecutivo è nata dal raffronto tra
l’andamento delle vendite in sede fallimentare e l’andamento delle
vendite in sede di esecuzione ordinaria: in una prima fase, in cui
si erano unificate le forme di pubblicità ma nelle procedure
esecutive non veniva nominato il custode, si era potuto rilevare che
la maggiore efficacia della pubblicità dava risultati estremamente
positivi in sede fallimentare e minimi in sede ordinaria.
S’intuì allora che la spiegazione era da ricercarsi nel fatto che in
sede fallimentare il potenziale interessato all’acquisto trovava nel
curatore fallimentare un interlocutore che era in grado di fornirgli
le informazioni richieste e soprattutto gli faceva visitare
l’immobile. Per le vendite in sede di esecuzione ordinaria,
l’interessato non poteva certo trovare questo interlocutore nella
cancelleria (presso la quale al massimo poteva prendere visione di
una perizia non sempre, peraltro, completa sotto il profilo
informativo) e soprattutto non poteva visitare l’immobile.
Non è questa la sede per illustrare nei dettagli l’impatto sul
funzionamento delle vendite giudiziarie determinato dalla carenza
d’informazioni (in particolare quelle sullo stato di occupazione del
bene, sull’eventuale esistenza di un titolo opponibile nel caso di
occupazione da parte di un terzo, sul termine di scadenza del
contratto in caso di opponibilità) e dall’impossibilità di visitare
l’immobile.
E’ però di tutta evidenza che il risultato finale è quello
dell’esclusione di fatto dalle vendite giudiziarie dei comuni
cittadini che intendono acquistare l’immobile per uso proprio e
l’instaurazione di un monopolio di fatto a favore degli operatori
professionali che acquistano in una prospettiva speculativa: il
risultato in altri termini è la netta separazione del mercato delle
vendite giudiziarie dal normale mercato immobiliare.
Ne discende una grave alterazione del rapporto tra domanda e offerta
con la conseguenza di un numero elevato di aste deserte, di un
allungamento smisurato dei tempi delle procedure in alcuni casi fino
alla paralisi e di una drastica riduzione dei valori di realizzo
degli immobili.
Dove si è provveduto a introdurre in modo generalizzato la nomina
del custode giudiziario congiuntamente ad una migliore
organizzazione della pubblicità (il nome e il recapito telefonico
del custode sono indicati nelle inserzioni pubblicitarie sulla carta
stampata e sono pubblicati sul sito internet dedicato) ed
all’eliminazione dei fenomeni di turbativa d’asta solitamente
connessi alla vendita nella forma dell’incanto la situazione si è
improvvisamente capovolta.
L’esperienza di Monza è emblematica: in un solo anno si è passati
dalla vendita di ca. 50 immobili alla vendita di 500 immobili, da un
numero di aste con esito positivo inferiori al 10% ad un numero
superiore al 70%; in quattro anni le procedure pendenti sono scese
da ca. 3600 a ca. 1190 (nonostante la sopravvenienza di 2450
procedure e con la definizione quindi di ca. 4900 procedure); nel
primo trimestre 2004 le aste con esito positivo sono salite al 78% e
la durata delle procedure dal deposito della certificazione
ipocatastale all’approvazione del progetto di distribuzione è scesa
sotto i 18 mesi rispetto ai dieci anni del 1999.
Risultati analoghi si stanno registrando anche in tribunali del sud
come quelli di Lecce e di Patti.
Sotto il profilo dei risultati riconducibili all’introduzione del
custode va tenuto conto che la loro attività ha evitato che la
migliore organizzazione della pubblicità si risolvesse in un enorme
aumento dell’accesso di pubblico alle cancellerie per richieste
informative con effetti gravissimi sulla loro normale funzionalità:
nel 2000 il numero delle persone che si sono rivolte ai custodi
giudiziari (per avere informazioni sul bene e sulle modalità della
presentazione delle offerte e della gara, copia della perizia,
moduli per la redazione
dell’offerta ecc.) sono state circa 18.000 (di cui ca. 7.000 si sono
recate a visitare gli immobili).
Non occorrono altri dati per dimostrare inequivocabilmente che la
formula indicata (custode + internet + vendita senza incanto) è la
chiave di volta per risolvere i problemi della giustizia civile nel
settore delle procedure esecutive immobiliari
Per i dettagli operativi sull’attività dei custodi giudiziari non si
può che rinviare alla documentazione allegata ed in particolare alle
circolari emesse nei vari uffici per impartire le direttive
generali.
E’ opportuno però evidenziare una differenziazione dei soggetti che
nei vari uffici sono usualmente nominati custodi in sostituzione dei
debitori esecutati: ad esempio i giudici del Tribunale di Bologna di
norma nominano gli stessi periti incaricati della stima del bene
(evidentemente privilegiando le loro capacità informative sulle
caratteristiche del bene ) ai quali peraltro viene sempre affiancato
il “legale del custode” (si è istituita a tal fine un’apposita
struttura) per gestire i rapporti con il debitore o terzo occupante
e la liberazione del bene prima della vendita; 26 a Monza, Como,
Lodi i giudici privilegiano i professionisti inseriti nell’elenco
dei curatori fallimentari (per la stretta somiglianza dei compiti
che il
custode viene ad assumere rispetto a quelli del curatore nella
liquidazione dei beni immobili), presso altri uffici si sono creati
elenchi ristretti (il numero limitato è essenziale per ottenere -
assicurando un numero minimo di incarichi su base annuale per
ammortizzare i costi organizzativi e per motivare l’impegno
professionale - il raggiungimento di adeguati standard di
organizzazione e di preparazione professionale) di giovani
professionisti (avvocati e dottori commercialisti), in altri ancora
è nominato custode giudiziario (possibilità peraltro prospettata
anche in circolare del Ministero di Giustizia) l’Istituto Vendite
Giudiziarie.
Quanto ai compensi l’orientamento prevalente è quello della
liquidazione a vendita avvenuta per evitare anticipazioni da parte
dei creditori, fatto salvo che in caso d’interruzione della
procedura è liquidato un compenso proporzionalmente ridotto che è
posto ovviamente a carico delle parti.
Nella maggior parte degli uffici il compenso è liquidato in misura
percentuale decrescente rispetto al prezzo di realizzo degli
immobili secondo un tariffario stabilito con circolare (a Monza il
compenso è mediamente pari ad ¼ del compenso spettante ad un
curatore fallimentare per la liquidazione di attività di pari valore
e comprende anche l’attività del professionista per la
predisposizione della bozza del progetto di distribuzione oltre,
ovviamente, l’attività per liberazione dell’immobile). In altri
uffici si è optato per la retribuzione in misura fissa delle singole
attività svolte (ad esempio per la gestione delle visite
all’immobile da parte degli interessati all’acquisto).
Al riguardo va sottolineato che in tutte le realtà in cui
l’esperienza della nomina generalizzata del custode giudiziario si è
consolidata sono stati ben presto fugati tutti i timori per
un’eventuale peso eccessivo del relativo compenso, avendo i legali
dei creditori per primi potuto constatare la modesta incidenza del
compenso sul ricavo d’asta (pari all’ammontare di uno o due rilanci
in sede di gara) a fronte dell’entità del danno che i creditori
subiscono in conseguenza dell’alta percentuale di aste deserte e
della limitatezza dei rilanci nelle procedure senza custode
giudiziario (potendosi al riguardo richiamare a mo’ di esempio i
dati sopra citati rammentando che ad ogni asta deserta consegue una
riduzione di 1/5 del prezzo base di vendita). |
|
3.1 I diritti di terzo
opponibili
Prima di affrontare le problematiche riguardanti la liberazione
dell’immobile da parte del custode giudiziario occorre individuare i
casi in cui l’occupazione dell’immobile da parte di terzi è fondata
su un titolo opponibile al creditore pignorante (e quindi ai
creditori intervenuti e all’acquirente dell’immobile), circostanza
questa che peraltro è estremamente rilevante, a prescindere dalla
prospettiva della liberazione dell’immobile della procedura, anche
ai fini della stima dei beni pignorati. |
Vengono
in primo luogo in considerazione i diritti di usufrutto, uso e
abitazione. Queste fattispecie non presentano particolari problemi.
E’ evidente che il diritto non è opponibile se il titolo costitutivo
risulta trascritto nei registri immobiliari successivamente al
pignoramento, mentre se stato è trascritto antecedentemente il
pignoramento ha per oggetto la nuda proprietà.
Occorre tuttavia tenere presente la norma di cui all’art. 2812 c.c.
che stabilisce la non opponibilità al creditore ipotecario dei
diritti reali minori trascritti successivamente all’iscrizione
dell’ipoteca. Ne discende che se l’azione esecutiva è svolta dal
creditore ipotecario i diritti reali di godimento trascritti prima
del pignoramento ma dopo l’iscrizione dell’ipoteca, pur risultando
opponibili agli altri creditori (il che risulta rilevante in sede di
distribuzione del ricavato), non sono opponibili al titolare
dell’ipoteca: quindi l’azione espropriativa investe la piena
proprietà 29 , il bene è venduto libero dal diritto reale minore, il
decreto di trasferimento è titolo per la liberazione immediata del
bene e, come si vedrà, trovandosi il titolare del diritto reale
minore, rispetto all’azione esecutiva, nella stessa posizione del
debitore esecutato, la liberazione può essere disposta anche nel
corso della procedura.
Quanto al diritto di abitazione ai sensi dell’art. 540, comma 2,
c.c. sulla casa adibita a residenza familiare a favore del coniuge
superstite va anzitutto rilevato che è pacifica la sua natura reale
trattandosi del diritto di abitazione di cui all’art. 1022 c.c. 30 e
che per orientamento giurisprudenziale altrettanto pacifico esso è
oggetto di un legato ex lege e quindi, ai sensi dell’art. 649 c.c.,
è acquistato all’atto dell’apertura della successione ipso iure
senza bisogno di accettazione.
Ora se l’immobile è gravato da ipoteca il creditore ha diritto di
espropriare la piena proprietà sia in forza della regola generale in
materia di ipoteca di cui all’art. 2812 c.c. sia in forza della
previsione specifica in materia di legati di cui all’art. 756 c.c.
per cui l’immobile è venduto libero dal gravame e ne può essere
disposta la liberazione già nel corso della procedura. Riguardo ai
creditori del decuius non ipotecari va considerato che il legatario
non risponde dei debiti del defunto ma che in caso di conflitto tra
creditori e legatari prevalgono i primi (artt. 495 e 499 c.c.): in
caso di insufficienza dell’asse ereditario il diritto di abitazione
non può pertanto essere opposto ai creditori.
Quindi, al di fuori di queste ipotesi, l’occupazione da parte del
coniuge superstite dell’immobile destinato ad abitazione familiare
corrisponde ad un diritto opponibile in sede di esecuzione forzata. |
Nella
maggior parte dei casi a fondamento del godimento dell’immobile da
parte di terzi è invocata l’esistenza di un contratto di locazione.
Le norme a cui fare riferimento per determinare quando si è in
presenza di un contratto di locazione opponibile sono quelle
desumibili dall’art. 560 c.p.c. e dall’art. 2923 c.c.
L’art.560, comma2, c.c. prevede per il debitore esecutato (oltre che
per il custode giudiziario) il divieto di concedere in locazione
l’immobile pignorato senza l’autorizzazione del giudice
dell’esecuzione ed è pacifico che la mancanza dell’autorizzazione
comporti l’inopponibilità ai creditori e quindi all’acquirente del
contratto stipulato dopo il pignoramento.
Ciò posto il problema è quello di stabilire come l’occupante possa
provare che il rapporto di locazione sia sorto prima del
pignoramento e, in caso in cui sia fornita la prova, entro quali
limiti temporali di durata il contratto sia opponibile.
Dall’art. 2923 c.c. e dalla legislazione speciale in materia di
locazioni si evince che, se il contratto è munito di data certa
anteriore al pignoramento, il conduttore, nel limite massimo di nove
anni, ha diritto a godere l’immobile per tutta la durata pattuita o,
nel caso di violazione delle norme inderogabili di legge, per la
durata minima stabilita dal legislatore.
Per l’opponibilità della pattuizione di una durata superiore ai nove
anni non è invece sufficiente la data certa perché nell’art. 2923 c.
2 è richiesta la trascrizione del contratto antecedente alla
trascrizione del pignoramento: in mancanza della trascrizione il
contratto è opponibile nel limite di un novennio dall’inizio della
locazione.
La questione principale che si è posta rispetto ai contratti scritti
con data certa anteriore al pignoramento riguarda l’operativa dei
meccanismi di rinnovazione automatica previsti nella legislazione
speciale.
Le pronunce giurisprudenziali si riferiscono al rinnovo tacito del
contratto di locazione di immobili ad uso abitativo nella disciplina
di cui alla L. 392/78 e pervengono alla conclusione che, poiché
anche il mancato invio della disdetta entro sei mesi dalla scadenza
del primo quadriennio integra una condotta negoziale, in mancanza
dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione il meccanismo del
rinnovo tacito per un secondo quadriennio non può operare.
Questo ragionamento, fondato sulla natura negoziale del
comportamento omissivo del custode (debitore-custode o
terzo-custode), non pare possa applicarsi al rinnovo ex art. 28
L.392/78, alla prima scadenza, dei contratti di locazione ad uso non
abitativo, posto che alla prima scadenza la disdetta relativa a tali
contratti può essere inviata soltanto per alcuni motivi ben
tipizzati: al di fuori di queste specifiche ipotesi non pare possa
attribuirsi alcun significato negoziale alla condotta omissiva del
custode il quale non può che subire il rinnovo automatico del
contratto indipendentemente da qualunque autorizzazione ex art. 560
c.p.c..
La stessa considerazione può essere svolta per il rinnovo dei
contratti di locazione ad uso abitativo stipulati dopo l’entrata in
vigore della L. 431/98 (1 gennaio 1999) perché nella nuova normativa
per il contratto ex art. 2 c. 1 (a canone vincolato) è prevista la
proroga ex lege e per quello ex art. 2 c. 3 (canone libero) è
stabilito il rinnovo automatico.
Si è pero osservato che l’ufficio esecutivo ( e non si vede in quale
modo se non per il tramite di un custode giudiziario che invii la
relativa disdetta sei mesi prima della scadenza) può ben (anzi ha il
potere-dovere) di valersi della facoltà di diniego del rinnovo
prevista, in favore del locatore che intende vendere l’immobile ai
terzi, dall’art. 3 lett. g) (che reintroduce parzialmente il
principio emptio tollit locatum di cui all’art. 1603 c.c.).
Pertanto, alla luce dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale
richiamata, si può affermare che i contratti di locazione ad uso
abitativo redatti in forma scritta e registrati in data anteriore al
pignoramento, nel caso di stipula sotto il regime ex L. 392/78,
scadono pacificamente al quarto anno dall’inizio della locazione
senza possibilità di rinnovo mentre, nel caso di stipula dopo l’
1/1/1999, dovrebbero (secondo l’autorevole orientamento dottrinale
esposto) scadere al quarto anno (se a canone libero) o al terzo anno
(se a canone convenzionato) a condizione tuttavia che il custode
giudiziario invii, almeno sei mesi prima della scadenza, la disdetta
di cui all’ art. 3 lett. g), intervenendo altrimenti il rinnovo
automatico (o proroga ex lege) rispettivamente per un altro
quadriennio e per un altro biennio.
Invece, in base alla disciplina di cui agli artt. 27-28-29 L.
392/78, i contratti di locazione relativi ad immobili ad uso
industriale, artigianale e commerciale o all’esercizio di attività
di lavoro autonomo, con data certa anteriore al pignoramento, alla
scadenza dei primi sei anni si rinnovano, senza alcuna possibilità
di disdetta per il custode giudiziario, per altri sei anni.
Analogamente si rinnovano per altri nove anni i contratti relativi
ad immobili a destinazione alberghiera.
Quando l’occupazione non risulta fondata su contratto con data certa
anteriore al pignoramento l’art. 2923 c. 4 consente al conduttore di
provare l’inizio della detenzione prima del pignoramento.
Va subito chiarito che non può trattarsi di detenzione sine titulo o
a titolo diverso dalla locazione ma di detenzione che trovi causa in
un rapporto di locazione: si ritiene pertanto che il conduttore deve
provare, anche attraverso indizi gravi e concordanti, l’inizio in
epoca anteriore al pignoramento di una detenzione inquadrabile
nell’ambito di un rapporto di locazione (dimostrando quindi non solo
l’occupazione materiale del bene ma anche il pagamento di un
corrispettivo).
Se è fornita la prova indicata il conduttore, ai sensi della norma
codicistica, ha diritto di godere l’immobile pignorato “per la
durata stabilita per le locazioni a tempo indeterminato”.
Fino all’entrata in vigore della L. 392/78 la norma è stata
interpretata come un rinvio alla durata prevista nell’art. 1574 c.c.
( durata di un anno per gli immobili non arredati).
Successivamente l’orientamento quasi pacifico è stato nel senso di
ritenere applicabile in questi casi la disciplina dell’art. 1 L.
392/78 (durata di quattro anni per le locazioni ad uso abitativo
senza possibilità di rinnovo).
Con la L. 431/98, riguardante le locazioni ad uso abitativo, la
questione non è stata ancora oggetto di pronuncia giurisprudenziale.
In dottrina si sono confrontate due tesi: la prima sostiene che, se
non risulta un contratto con data certa ma una detenzione anteriore
al pignoramento, occorre fare riferimento alla disciplina dell’art.
2, c. 3, che prevede la durata minima di anni 3 prorogati ex lege di
anni 2 (e questo argomentando sulla base della previsione dell’art.
13 c. 5 che riguarda l’ipotesi in cui il locatore abbia “preteso
l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto” e il
conduttore agisca per l’accertamento del contratto di locazione)41 ;
la seconda esclude risolutamente l’applicabilità dell’art. 13 c. 5
L. 431/98 in quanto norma eccezionale (che deroga alla regola
generale di cui all’art. 1 c. 4 che richiede a pena di nullità la
forma scritta per i contratti di locazione ad uso abitativo) ed
opta, quale unica soluzione rispettosa dell’art. 2923 c. 4 e della
lettera e ratio della L. 431/98, per la durata fissata nell’art.
1574 c.c. per i contratti che abbiano forma scritta ma non
presentino una data certa anteriore al pignoramento.
Per completare l’esposizione della disciplina relativa
all’opponibilità delle locazioni in sede di esecuzione va richiamato
l’art. 2923 c. 3 che prevede che l’acquirente (ma come si vedrà vi è
un orientamento favorevole alla tesi che anche questo profilo
d’inopponibilità, pur non essendo riconducibile alla previsione
dell’art. 560 c. 3 c.p.c., può essere fatto valere dal custode
giudiziario) non è tenuto a rispettare la locazione qualora il
canone convenuto sia inferiore di un terzo al giusto canone o quello
risultante da precedenti locazioni.
Per gli immobili ad uso abitativo finché è stata in vigore la
disciplina dell’equo canone era pacifica l’identificazione del
giusto canone nel canone stabilito ex lege. Dopo l’abolizione
dell’equo canone l’orientamento è quello di fare riferimento al
canone applicabile in base alla convezione locale tra organizzazione
dei proprietari e degli inquilini ex art. 4 L. 431/98.
Per gli immobili ad uso non abitativo il giusto canone non può che
essere il canone medio di mercato.
Si è precisato che il raffronto va effettuato con riferimento alla
data del pignoramento, quale momento in cui si cristallizza la
situazione opponibile, e non a quella della stipula del contratto o
della vendita.
Quanto alla scelta tra il parametro del giusto prezzo e quello del
corrispettivo risultante da precedenti locazioni la giurisprudenza è
nel senso che essa spetta al giudice, mentre in dottrina è stato
affermato sia che la scelta spetti all’acquirente sia che i due
criteri concorrano per cui si deve far riferimento al canone
precedente quando questo risulta superiore a quello legale.
In conclusione si deve aggiungere, per pura completezza, che
rispetto alla sorte dei rapporti di locazione nell’ambito della
procedura esecutiva è del tutto irrilevante l’esistenza di
un’iscrizione ipotecaria, posto che l’art. 2812 c.c. riguarda i
diritti reali minori e non i diritti personali di godimento che non
incidono sulla pienezza del diritto di proprietà. |
ex art. 6 L. 898/70
ed ex art. 155 c.c.
Quella
dell’assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi per
effetto della separazione o del divorzio è certamente la fattispecie
più delicata, sia per l’incertezza che ha caratterizzato la
giurisprudenza sulla disciplina dell’opponibilità, sia per
l’incidenza radicale dell’assegnazione opponibile sul valore del
bene pignorato in ragione dell’esclusione di qualsiasi corrispettivo
per il godimento 46 e dell’intrinseca impossibilità di determinare
esattamente la durata nel tempo del godimento da parte
dell’assegnatario (con tutti i conseguenti problemi in sede di stima
del bene).
Va subito rilevato che è pacifica la qualificazione del diritto
dell’assegnatario come diritto personale di godimento 48 per cui
parrebbe doversi escludere, anche rispetto a questa fattispecie,
ogni rilevanza dell’esistenza di un’iscrizione ipotecaria, dovendosi
fare riferimento, ai fini dell’opponibilità, unicamente alla data
della trascrizione del pignoramento.
In ordine al regime dell’opponibilità si sono confrontati due
orientamenti giurisprudenziali che si sono formati con riferimento a
fattispecie di trasferimento del bene per normale atto negoziale e
non a seguito di vendita giudiziaria, ma i termini della questione
non mutano se non per il fatto che il termine di riferimento in un
caso è la trascrizione dell’atto di compravendita e nell’altro il
decreto di trasferimento. La divergenza ha riguardato
l’interpretazione dell’espressione “l’assegnazione, in quanto
trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599
c.c.”: secondo la tesi più rigorosa il provvedimento di assegnazione
non trascritto in data anteriore alla trascrizione dell’atto di
acquisto del bene è inopponibile al terzo; secondo l’orientamento
opposto il provvedimento non trascritto ma comunque emesso in data
anteriore alla trascrizione dell’atto di acquisto è opponibile, come
la locazione, nel limite di nove anni.
Il contrasto è stato sciolto dalle Sezioni Unite che hanno optato
per la seconda soluzione. |
|
Come si è visto
secondo una primo orientamento, che ricollega la previsione
dell’art. 560 c. 3 alla regola generale per cui il custode non può
utilizzare la cosa in custodia, il debitore esecutato, se intende
continuare ad abitare nell’immobile pignorato, deve chiedere
l’autorizzazione al giudice dell’esecuzione fin dal pignoramento.
Secondo altri la necessità dell’istanza di autorizzazione nasce solo
per effetto della sostituzione del debitore nella custodia.
Qualunque soluzione si accolga pare indubbio in ogni caso un
collegamento quantomeno funzionale tra nomina di un custode – terzo
ed liberazione dell’immobile, risultando difficile prospettare una
liberazione che non sia attuata tramite l’azione di un custode
giudiziario.
Posto quindi che, quando non è richiesta dal debitore
l’autorizzazione a continuare ad abitare nell’immobile oppure è
rigettata la relativa istanza o revocata la precedente
autorizzazione, è il custode nominato in sostituzione del debitore a
provvedere alla liberazione dell’immobile, il punto centrale è
stabilire la natura della decisione del giudice in ordine
all’autorizzazione al debitore e in quali forma avvenga la
liberazione.
Sul primo punto, non risultando specifiche pronunce riguardo alle
valutazioni che il giudice deve compiere nel decidere sull’istanza
di autorizzazione, va rilevato che in generale la Corte Cassazione
connota in termini di assoluta discrezionalità tutte le decisioni
del giudice in ordine alla conservazione e amministrazione del bene.
Ma volendo anche ritenere che, trattandosi di attività
sostanzialmente amministrativa, debba comunque (a prescindere da
ogni considerazione sull’impugnabilità della decisione rispetto a
cui rilevano altri profili: rapporto tra azione esecutiva, attività
conservativa, funzione dell’opposizione agli atti esecutivi)
consistere nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti
appare indubbio che l’interesse prevalente sia sempre quello,
rispondente alla finalità stessa della procedura esecutiva, di
assicurare la migliore conservazione ed amministrazione del bene e
le migliori condizioni per cui il bene sia venduto rapidamente ed al
suo giusto prezzo di mercato.
In questa prospettiva si ritiene equilibrato e rispondente al
parametro della buona amministrazione l’esercizio del potere secondo
modalità differenziate in base alla condotta concretamente tenuta
dal debitore: nel caso di comportamenti ostativi allo svolgimento
della procedura (ad esempio mancata collaborazione con il perito
estimatore) o di condotte scarsamente attente alla conservazione
materiale del bene si nega immediatamente (ad esempio a seguito di
segnalazione del perito estimatore) l’autorizzazione o la si revoca
e si dispone quindi la liberazione in una fase anche iniziale della
procedura; nel caso di una condotta normale del debitore si
individua il ragionevole punto d’equilibrio nell’ordinare la
liberazione del bene quando si è effettivamente pervenuti alla fase
della vendita ossia contestualmente alla pronuncia dell’ordinanza di
vendita.
Al riguardo, sempre nell’ottica del ragionevole bilanciamento degli
interessi, si può osservare: a) è notorio che, pur mancando un
titolo opponibile all’acquirente, le condizioni di mercato di un
bene immobile mutano significativamente tra l’ipotesi di un bene
venduto giuridicamente libero ma occupato di fatto (con onere quindi
dell’acquirente di provvedere alla relativa liberazione sia pur in
forza di un titolo esecutivo già esistente) ed l’ipotesi di un bene
posto in vendita con l’assicurazione della sua consegna libero da
persone e cose (quasi) contestualmente al pagamento del prezzo,
riducendosi nel primo caso radicalmente il numero e la qualità dei
potenziali acquirenti e il prezzo realizzabile (da un canto
riduzione
tendenziale del mercato agli operatori professionali che operano con
logica speculativa e con tendenziale esclusione di chi non può
acquistare senza certezze sui tempi dell’immissione in possesso;
d’altro canto incidenza sui valori di realizzo dell’alea riguardo ai
tempi dell’acquisizione della piena disponibilità del bene che
possono rivelarsi in concreto assai rilevanti) ; b) è irragionevole
sacrificare questo rilevante interesse dei creditori (la differenza
tra le due ipotesi si manifesta sia nell’aumento della probabilità
di aste deserte e quindi nell’allungamento dei tempi sia nella
riduzione del ricavato d’asta) a fronte del fatto che ormai è
imminente la vendita del bene e che, dati i tempi tecnici
dell’attuazione dell’ordine di liberazione, il debitore viene
privato della possibilità di continuare ad abitare l’immobile in un
momento estremamente prossimo al momento in cui sarebbe comunque
giuridicamente tenuto a liberare il bene; c) la collocazione del
bene sul mercato a condizioni che incidono negativamente sul prezzo
di vendita danneggia lo stesso debitore esecutato con riferimento al
suo interesse a che il bene sia espropriato al suo effettivo valore,
non potendosi d’altro canto, ovviamente, considerare apprezzabile
l’ipotetico interesse del debitore a dissuadere i potenziali
offerenti per allungare i tempi della procedura.
Quanto alle modalità della liberazione dell’immobile risultano
ovviamente (stante il limitatissimo ricorso alla nomina del custode
giudiziario nella tradizionale prassi di gestione delle procedure
esecutive e praticamente mai ai fini della liberazione anticipata
dell’immobile ma solo per la gestione di rapporti di locazione in
corso ) poche pronunce ma appare pacifico che l’ordinanza del
giudice, in quanto atto interno e strumentale del processo
esecutivo, è intrinsecamente esecutiva.
In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione fin dal 1949
rigettando un’impugnazione fondata sul rilievo che “a norma
dell’art. 474 c.p.c. non potesse avere luogo l’esecuzione forzata in
base all’ordinanza emessa in applicazione dell’art. 559 c.p.c. per
non conferire la legge a questa efficacia di titolo esecutivo”.
La Corte Suprema (aderendo evidentemente alla tesi che ricollega il
dovere del debitore di lasciare l’immobile alla sua sostituzione
nella custodia) afferma: “ l’ordinanza che dispone la sostituzione
di altra persona al debitore nelle funzioni di custode dei beni
pignorati è per se stessa esecutiva in quanto impone senz’altro al
debitore di consegnargli la cosa custodita.
Pertanto l’immissione in possesso effettuata a mezzo di ufficiale
giudiziario del nuovo custode nei confronti del debitore, previa
notifica dell’ordinanza e del precetto di rilascio non integra gli
estremi di uno spoglio in danno del debitore medesimo”.
Nello sviluppare l’argomentazione la Corte osserva: “l’ordinanza di
surroga del custode, non impugnabile e non confondibile con i
provvedimenti giurisdizionali, appartiene a quella categoria di
provvedimenti esecutivi processuali ed ordinatori alla cui rigorosa
osservanza il custode non può sottrarsi senza venir meno ad uno dei
principali suoi doveri. Il custode, cui è affidata la conservazione
e l’amministrazione dei beni pignorati, è considerato dalla legge un
ausiliario del giudice e come tale è tenuto ad eseguirne gli ordini.
L’ordinanza che ne dispone la sostituzione, e che non può essere
impugnata ai sensi dell’art. 66 u.c. c.p.c., è per se stessa
esecutiva come provvedimento attinente al processo esecutivo in
corso e, in quanto importante il trasferimento di funzioni e poteri
da lui al nuovo custode, gli impone senz’altro di consegnare a
quest’ultimo la cosa pignorata….L’essersi adottata contro il
debitore, costituito custode in virtù di legge, la forma del
procedimento di rilascio non toglie che si verta sempre in tema di
espropriazione forzata immobiliare e quindi di un procedimento per
sua natura esecutiva, del quale la presa in consegna da parte del
nuovo custode non è che un mero episodio… Non si era in presenza di
una procedura di rilascio che fosse fine a sé stessa, ma unicamente
di un mezzo, di uno strumento di attuare la volontà del giudice, che
nell’esercizio del suo legittimo potere aveva dato i provvedimenti
necessari per l’ulteriore corso della procedura esecutiva
immobiliare a lui affidata” L’orientamento così espresso dalla Corte
di Cassazione non è mai stato successivamente disatteso ed è stato
ripreso in recenti pronunce dei tribunali di Bologna e Monza.
In entrambe si sottolinea che la liberazione dell’immobile non è
altro che una specifica modalità attuativa degli effetti del
pignoramento stabilita dal giudice con provvedimento che ha natura
ordinatoria in quanto attinente alla conservazione e amministrazione
del bene pignorato nelle more della procedura espropriativa: in
altri termini l’ordinanza del giudice è atto esecutivo perchè atto
interno e strumentale della procedura espropriativa e il fondamento
della sua esecutività non è altro che il titolo esecutivo che regge
l’azione esecutiva.
In particolare nella sentenza del Tribunale di Monza si rileva: “E’
pacifico che le determinazioni degli organi della procedura in
ordine alle modalità di conservazione del bene pignorato sono
esplicazioni dell’azione esecutiva iniziata con l’atto di
pignoramento e destinata a concludersi con l’espropriazione del
bene. Esse, in quanto atti interni alla procedura esecutiva, atti
attraverso cui si svolge in concreto la procedura ed in particolare
si estrinseca quell’effetto tipico del pignoramento che è la
sottrazione del bene al libero godimento del debitore, sono,
rispetto al bene oggetto del pignoramento, atti di per sé esecutivi
e quindi per la loro attuazione non è necessario un autonomo
accertamento giurisdizionale che sfoci in una sentenza o altro
specifico titolo giudiziale.
In altri termini è pacifico che, quando l’ufficiale giudiziario
nomina il custode nella persona di un terzo e dispone la custodia
del bene mobile in altro luogo, ai fini della materiale asportazione
del bene non occorre che il nuovo custode introduca un giudizio per
accertare il diritto alla consegna del bene da parte del debitore e
per ottenere una sentenza di condanna.. …Se ciò è pacifico per i
beni mobili non vi è ragione per pervenire ad una diversa
conclusione per gli immobili. Il provvedimento con cui il giudice,
avendo sostituito il debitore nella funzione di custode
dell’immobile pignorato, ordina la consegna dell’immobile al nuovo
custode è atto di per sé esecutivo in quanto atto interno della
procedura esecutiva
immobiliare, atto attraverso cui si attua la sua decisione riguardo
alle modalità di conservazione del bene nelle more del
procedimento”.
Analogamente nella sentenza del Tribunale di Bologna si osserva che
“ l’ordinanza di rilascio emessa ex art. 560 c.p.c. non costituisce
atto giurisdizionale ma provvedimento esecutivo ed ordinatorio per
sua stessa vocazione non riconducibile all’art. 474 c.p.c.”,
aggiungendosi che l’intrinseca esecutività del provvedimento deriva
dal fatto che “l’atto di pignoramento costituisce momento di
“privazione” del debitore dal libero possesso e godimento
dell’immobile, di cui il diniego dell’abitazione costituisce
semplice estrinsecazione o modalità attuativa”.
Riguardo alle modalità di esecuzione dell’ordinanza che dispone la
liberazione del bene occupato va in primo luogo rilevato che, se si
ritiene che il provvedimento, per la sua strumentalità rispetto al
processo esecutivo, abbia natura sostanzialmente cautelare, si può
pervenire alla conclusione della non necessità dell’apposizione
della formula esecutiva.
La Corte di Cassazione nella sentenza sopra citata fa riferimento
all’esecuzione della liberazione dell’immobile nella forma
dell’esecuzione per rilascio di cui agli artt. 605 e seg. c.p.c.
Questa è la soluzione maggiormente seguita negli uffici in cui si
procede alla liberazione dell’immobile prima del vendita. Quindi il
custode giudiziario richiede la notifica dell’atto di precetto e
predispone, secondo la tradizionale prassi, il preavviso di sloggio.
E’ importante precisare che l’atto di precetto può essere posto in
essere direttamente dal custode giudiziario senza il ministero del
difensore.
Nella prassi del Tribunale di Bologna si è peraltro anche seguita la
soluzione di esecuzione autonoma del provvedimento a cura del
custode giudiziario senza il tramite
dell’ufficiale giudiziario e con richiesta diretta dell’assistenza
della forza pubblica. Il fondamento giuridico di questa opzione è
individuato nella previsione dell’art. 68 c.p.c. che attribuisce al
giudice, con una formulazione molto ampia, il potere di richiedere
l’assistenza della forza pubblica. Va al riguardo rilevato che in
effetti la liberazione dell’immobile (come si evince anche dalla
giurisprudenza di legittimità sulla natura
amministrativa-ordinatoria di questi atti) rappresenta un’attività
gestionale interna alla procedura e che quindi è da ritenersi
coperta dalla previsione della possibilità di assistenza della forza
pubblica. |
Con
riferimento all’ipotesi in cui l’immobile è occupato da un terzo
senza titolo si pone una duplice questione:
- se le norme sulla non opponibilità del rapporto di locazione
possono essere invocate dal custode giudiziario;
- se, risposto positivamente a questo primo quesito, la liberazione
possa essere attuata mediante l’esecuzione dell’ordinanza di
liberazione emessa dal giudice dell’esecuzione o se il custode debba
promuovere un apposito giudizio.
Sul primo punto la soluzione affermativa (fatta eccezione per
l’ipotesi di cui all’art. 2923 c. 3 c.c.) appare sostanzialmente
pacifica 58 . A questa conclusione si perviene valorizzando la ratio
dell’art. 2923 c.c. (che nella lettera fa riferimento al solo
acquirente) e la posizione di terzietà del custode, analoga a quella
dell’acquirente, rispetto al rapporto eventualmente dedotto
dall’occupante nonché il collegamento funzionale tra custodia del
bene nelle more della procedura e suo acquisto da parte
dell’acquirente 59 oppure ricomprendendo nella categoria degli “atti
di alienazione” anche le locazioni.
In ogni caso opera la previsione dell’art. 560 c. 3 c.p.c. (da cui
deriva l’inefficacia delle locazioni non autorizzate dal giudice
dell’esecuzione) rispetto alla quale la disciplina dell’art. 2923
c.c. può essere valorizzata come la disciplina probatoria in ordine
alla collocazione temporale della stipulazione del contratto.
Maggiormente problematica appare questa soluzione riguardo
all’ipotesi di contratto di locazione a “canone vile”. Ad essa non
può certo pervenirsi muovendo dalla previsione dell’art. 560 c. 3
che non può riguardare contratti che, in quanto stipulati prima del
pignoramento e quindi dell’assunzione da parte del debitore della
funzione di custode, non possono essere considerati inefficaci per
mancanza dell’ autorizzazione del giudice dell’esecuzione.
La possibilità del custode di far valere l’inopponibilità del
contratto di locazione per “canone vile” è stata invece affermata
nella prospettiva dell’equiparazione tra acquirente e custode,
sottolineandosi di che “la facoltà riconosciuta al custode non
costituisce comunque una norma eccezionale, in deroga all’art. 1415,
2° c.,di tal che il custode mantiene la facoltà di agire nei
confronti del conduttore alternativamente azionando la tutela di cui
all’art. 2923, 3° c, ovvero quella offerta dall’art. 1415, 2° c., in
materia di simulazione”.
In ordine alla seconda questione non risultano espresse pronunce
giurisprudenziali, per cui non può che farsi riferimento agli
orientamenti emergenti dalla prassi seguita nei vari uffici e in
particolare nei tribunali di Bologna e Monza che da più tempo hanno
avviato queste esperienze di valorizzazione della figura del custode
giudiziario.
L’orientamento seguito a Bologna è quello del ricorso da parte del
custode, con l’assistenza del legale nominato dal giudice
dell’esecuzione, alla tutela cautelare ai sensi degli artt. 700 -
447 bis c.p.c, venendo evidenziato sotto il profilo dell’imminenza e
irreparabilità del pregiudizio che l’occupazione del terzo rende
estremamente difficile la vendita forzosa dell’immobile e, comunque,
determina una rilevante riduzione del valore dell’immobile.
I giudici dell’esecuzione del Tribunale di Monza hanno invece
ritenuto che rientrasse nel loro potere ordinare la liberazione
dell’immobile anche nei confronti dei terzi occupanti senza titolo
opponibile, argomentando sulla base dell’equiparazione, nell’ambito
dell’azione esecutiva, tra la posizione del terzo occupante senza
titolo e quella debitore esecutato.
Il concetto è espresso in tutte le ordinanze nei seguenti termini: “
il giudice dell’esecuzione…può disporre la liberazione immediata
dell’immobile dal debitore esecutato, come si evince dalla
previsione dell’art. 559 c. 2 c.p.c. …; …. a maggior ragione può
disporre la liberazione dell’immobile quando questo risulta occupato
da terzi che non siano titolari di diritti reali o personali di
godimento fondati su titolo opponibile alla procedura; .. infatti
questi terzi si trovano rispetto all’azione esecutiva (della quale
sono espressione anche i strumentali poteri del giudice riguardo
alle modalità della custodia dei beni pignorati tra i quali quindi
il potere di procedere all’immediata liberazione dell’immobile) in
una posizione di soggezione identica a quella del debitore esecutato
come dimostra il fatto che il decreto di trasferimento ex art. 576
c.p.c. è titolo esecutivo anche nei loro confronti (cfr. Cass.
1/12/1998 n. 12174)”.
Si valorizza dunque la giurisprudenza della Corte di Cassazione in
materia di efficacia del decreto di trasferimento come titolo
esecutivo per la liberazione dell’immobile in base a questa sequenza
logica:
a) (se) il decreto di trasferimento è il provvedimento in cui sfocia
l’azione esecutiva (nella fase espropriativa);
b) (se) il decreto di trasferimento è titolo esecutivo nei confronti
del terzo che occupa senza titolo opponibile il bene pignorato;
c) (se) l’ampiezza degli effetti del decreto di trasferimento, sia
sotto il profilo oggettivo che quello soggettivo, non può essere
maggiore rispetto a quella degli effetti del pignoramento;
d) (allora) il terzo che occupa il bene senza un titolo opponibile è
(necessariamente) equiparabile al debitore esecutato ed è quindi da
ritenersi assoggettato egualmente agli effetti dell’azione esecutiva
(che si esplica anche nell’esercizio dei poteri strumentali alla
conservazione ed amministrazione del bene e quindi nella liberazione
dello stesso nelle more della procedura) perché, se così non fosse,
ossia se i poteri strumentali di conservazione e amministrazione del
bene non potessero essere esercitati nei confronti del terzo che
occupa senza un titolo opponibile (e dovesse essere quindi promossa
una causa per la liberazione del bene) in quanto terzo esterno alla
procedura (come tale non equiparabile al debitore esecutato), per la
stessa ragione neppure il decreto di trasferimento potrebbe produrre
effetti nei suoi confronti e l’acquirente dell’immobile espropriato
dovrebbe munirsi di un diverso specifico titolo per ottenere il
rilascio dell’immobile.
In altri termini la tesi può essere più efficacemente così espressa:
o si ritiene che il terzo non possa mai essere equiparato
all’esecutato e allora nei suoi confronti non può mai costituire
titolo esecutivo, ai fini della liberazione dell’immobile, neppure
il decreto di trasferimento oppure si ritiene che il terzo, che è
stato immesso nella detenzione del bene dopo il pignoramento, si
trovi nella stessa posizione dell’esecutato e che nei suoi confronti
l’ingiunzione contenuta nel decreto di trasferimento abbia valore di
titolo esecutivo e allora ne consegue che egli è da considerarsi
equiparato all’esecutato anche con riferimento agli atti esecutivi
interni ed in particolare all’ordinanza di liberazione dell’immobile
nelle more della procedura. Lo stesso soggetto non può essere
considerato terzo nel corso della procedura esecutiva e venire
equiparato all’esecutato rispetto al provvedimento in cui quella
procedura sfocia.
E’ di tutta evidenza che la prima soluzione porterebbe a risultati
paradossali perché, sviluppata nelle sue conseguenze logiche,
implicherebbe che, una volta ottenuto un titolo ed avviata l’azione
esecutiva di rilascio nei confronti di un soggetto, sarebbe
sufficiente che a questi subentrasse nell’occupazione un altro
soggetto perché chi si è munito del titolo debba iniziare una nuova
azione di cognizione per dotarsi di un nuovo titolo ( il che
potrebbe ripetersi all’infinito). Appare quindi più convincente la
tesi che una volta intervenuto il pignoramento tutti gli atti
attraverso cui si esercita l’azione esecutiva (sia agli interni di
conservazione e amministrazione come l’ordinanza di liberazione
dell’immobile sia l’atto espropriativo) possono essere
indifferentemente eseguiti nei confronti dell’esecutato e nei
confronti di coloro che l’esecutato, senza averne il potere, ha
immesso nel godimento del bene.
Stante l’analogia tra i poteri del giudice dell’esecuzione in ordine
alla conservazione del bene (esercitabili essenzialmente mediante la
nomina di un custode in persona diversa dal debitore ) e i poteri
attribuiti ex art. 25 n. 2 L.F. al giudice delegato del fallimento
la posizione ora espressa potrebbe apparire contrastante con i
principi evincibili dall’elaborazione giurisprudenziale riguardante
i c.d. decreti di acquisizione. Va però considerato che queste
pronunce riguardano ipotesi in cui i decreti di acquisizione sono
stati emessi per acquisire alla procedura beni che all’atto della
dichiarazione di fallimento si trovavano nella disponibilità di
terzi ed è evidente che in questi casi il decreto di acquisizione
rappresenta un provvedimento abnorme perché il potere del giudice
viene ad essere esercitato al di fuori della sfera fallimentare per
risolvere un conflitto che riguarda la stessa acquisibilità al
fallimento ( o comunque liberazione da parte del fallimento) di un
bene su cui il terzo vanta diritti che sarebbero sorti in forza di
atti dispositivi del titolare anteriori alla dichiarazione di
fallimento: diverso è pero il caso in cui, dopo la dichiarazione di
fallimento, il fallito immetta un terzo nel godimento di un bene
inventariato, non parendo dubbio che in questa ipotesi il giudice
possa adottare un provvedimento ex art. 2 5 n. 2 L.F. 65 Nella
prospettiva illustrata l’ordinanza di liberazione può essere emessa
nei confronti dell’occupante il cui titolo non è opponibile perché
il rapporto di locazione è stato instaurato dopo il pignoramento.
Non pare invece comunque possibile la pronuncia di un’ordinanza di
liberazione con riferimento all’ipotesi in cui il custode intenda
far valere la non opponibilità della locazione ai sensi dell’art.
2923 c. 3 c.c. (canone vile). Ammesso che il custode possa invocare
questa fattispecie di inopponilità in ogni caso si sarebbe in
presenza di un atto preesistente al pignoramento e quindi la
posizione del terzo non potrebbe essere equiparata a quella del
debitore esecutato: il custode, se legittimato, deve esercitare una
normale azione salvo, se ne ricorrono i presupposti, richiedere
l’emissione di un provvedimento d’urgenza. |
scaduto
o da terzi morosi oppure da terzi senza titolo ma con occupazione
iniziata prima del pignoramento.
Come si è già rilevato dai poteri di conservazione ed
amministrazione del bene pignorato attribuiti al custode discende la
sua legittimazione a proporre azione di rilascio per finita
locazione o per morosità.
L’intimazione dello sfratto per finita locazione può riguardare
ovviamente ipotesi di contratti di locazione scaduti e non
rinnovatisi prima del pignoramento e contratti scaduti dopo il
pignoramento.
Quanto all’intimazione di sfratto per morosità va rilevato che il
custode nominato in sostituzione del debitore può richiedere il
pagamento di tutti i canoni (e delle spese condominiali ) maturati
dopo la trascrizione del pignoramento e quindi anche quelli maturati
quando la custodia era affidata al debitore, dovendosi peraltro
tenere presente che i crediti per canoni di locazione si prescrivono
in cinque anni e quelli derivanti da spese condominiali in due anni.
67 E in ordine alla prova dell’avvenuto versamento dei canoni nelle
mani del locatore esecutato, eventualmente allegata dal conduttore,
pare corretto escludere che la posizione del custode ( in ragione
della sua posizione istituzionale di ausiliario di giustizia
investito della funzione di conservazione ed amministrazione dei
beni nell’interesse dei creditori che hanno diritto di soddisfarsi
anche sui frutti civili del bene pignorato) possa essere
identificata con quella del locatore esecutato.
Rientrando tra i compiti conservativi del custode, ovviamente, agire
per la liberazione dell’immobile pignorato quando l’occupazione, pur
risalente ad epoca anteriore al pignoramento, risulta sine titolo (
come già evidenziato la detenzione anteriore rileva ex art. 2923 c.
4 c.c. in quanto inquadrabile nell’ambito di un rapporto di
locazione ossia in quanto accompagnata dal pagamento del canone di
locazione), è indubbio che in queste ipotesi il custode debba
promuovere un’azione ordinaria.
E’ anzi da sottolineare che in questi casi è particolarmente
importante l’azione del custode con riferimento al rischio che nelle
more della procedura espropriativa il terzo possa acquistare la
proprietà del bene pignorato per usucapione e per evitare, laddove i
termini dell’usucapione siano già maturati, che sia posto in vendita
un bene per cui sono già maturati i termini dell’usucapione con
conseguente successiva evizione dell’acquirente.
L’iniziativa del curatore e quindi necessaria per interrompere la
maturazione dell’usucapione e in ogni caso è idonea a determinare
una situazione di certezza in ordine alla solidità della vendita
coattiva. |
Quando all’atto della
nomina il rapporto di locazione è in corso è estremamente utile ai
fini della vendita del bene che il custode si munisca del titolo
esecutivo.
Lo strumento è quello della convalida della licenza per finita
locazione, per la quale il custode deve chiedere autorizzazione al
giudice dell’esecuzione. |
L’azione
del custode ai fini della liberazione dell’immobile, in quanto
essenziale per avvicinare le condizioni dello scambio nelle vendite
giudiziarie a quelle del normale mercato immobiliare,è uno dei
fattori che più hanno contribuito al raggiungimento dei risultati di
efficienza precedentemente indicati.
Come già accennato le ragioni attengono all’incidenza negativa dello
stato di occupazione dell’immobile rispetto alle possibilità di
vendita e in ogni caso ai valori di realizzo.
Questa incidenza si verifica anche quando l’immobile è occupato dal
debitore esecutato.
In molte realtà, soprattutto nei centri più piccoli, la circostanza
che al momento dell’asta l’immobile è ancora l’abitazione
dell’esecutato e la prospettiva che l’acquirente debba poi gestire
direttamente la liberazione dell’immobile rappresentano di per sé
fattori fortemente ostativi alla presentazione di offerte da parte
degli interessati.
In ogni caso, se il bene è venduto come giuridicamente libero ma di
fatto è occupato sia pure dal debitore, sussiste un’incertezza sui
tempi della effettiva liberazione in base all’ingiunzione contenuta
nel decreto di trasferimento (che sono nell’ordine di molti mesi e
possono superare anche l’anno) e questa è una prospettiva che si
rivela incompatibile con le concrete possibilità di gran parte di
coloro che acquistano per destinare l’immobile a propria abitazione.
Soprattutto è pacifico, posto che i valori si realizzano secondo le
regole del mercato commerciale, il deprezzamento di un immobile per
il quale l’acquirente, pur disponendo di un titolo, debba farsi
carico dell’attività di liberazione e quindi in questa ipotesi
aumenta fortemente la probabilità di aste deserte ed è certo che i
prezzi di vendita sono notevolmente inferiori a quelli normali di
mercato.
Quando l’immobile è occupato dal terzo senza l’azione di un custode
il potenziale acquirente ( a prescindere dai casi estremi, pure
verificatisi, dell’evizione per usucapione) non può avere certezze
neppure in ordine al fatto che il bene sia liberabile in forza del
decreto di trasferimento oppure sia goduto in base a titolo
opponibile, posto che ai fini dell’opponibilità è sufficiente
l’inizio della detenzione in epoca anteriore al pignoramento e
tenuto conto anche della problematicità della rinnovazione o proroga
del scadenza del contratto nelle more della procedura dopo l’entrata
in vigore della L. 431/98.
E’ di tutta evidenza quale possa essere l’incidenza di un’incertezza
di questa natura sulle possibilità di vendita dell’immobile e sui
valori di realizzo.
Va rilevato, come si è già posto in evidenza per dimostrare l’ottica
di equilibrato contemperamento degli interessi che ispira l’azione
dei giudici, che, sia Bologna sia a Monza sia nelle altre realtà ove
è disposta la liberazione del bene a cura del custode, di norma
(salvi i casi di condotte ostative allo svolgimento della procedura
ed in particolare all’accesso del perito e all’attività del custode
riguardante le visite da parte degli interessati) l’effettiva
liberazione (per i necessari tempi tecnici) interviene dopo
l’aggiudicazione, per cui l’emissione dell’ordinanza di liberazione
al momento della vendita si risolve in concreto nell’eliminazione
della discrasia temporale tra il momento in cui sorge il diritto
dell’acquirente alla consegna del bene (pagamento del prezzo) e
quello in cui di norma gli viene consegnato: in altri termini,
ponendosi rimedio ad una patologia del sistema, l’esecutato viene a
trovarsi nella condizione di liberare il bene sostanzialmente in
coincidenza con quando avrebbe dovuto in forza di un decreto di
trasferimento emesso tempestivamente e posto in esecuzione senza
ritardi.
Quanto alle modalità operative si è evidenziato, nel precedente
paragrafo, che nella prassi del Tribunale di Monza l’esecuzione
dell’ordine di liberazione, tanto nei confronti del debitore
esecutato quanto del terzo occupante senza titolo opponibile, è
gestita direttamente dal custode, senza il patrocinio di un legale,
nelle forme di cui agli artt. 605 ss. 73 . Nella prassi invece del
Tribunale di Bologna, quando l’immobile è occupato dall’esecutato,
il custode, all’atto della nomina, è autorizzato ai sensi dell’art.
68 c. 3, a richiedere l’assistenza della forza pubblica e quindi a
procedere direttamente all’esecuzione dell’ordine nella sua qualità
di ausiliario del giudice. Come si è già visto quando l’immobile è
occupato da un terzo si ritiene invece necessario, in caso di
mancata liberazione spontanea, agire in sede cautelare. |
Nell’ambito delle
esecuzioni immobiliari il sistema della vendita senza incanto è,
contrariamente a quanto comunemente si ritiene, quello
considerato normale dal codice: nell’art. 569 c. 3 c.p.c. è
disposto che il giudice procede alla vendita senza incanto a
meno che non ritenga più opportuno che la vendita si svolga con
il sistema dell’incanto.
La procedura di vendita senza incanto si svolge con le seguenti
modalità:
a) il giudice dispone all’udienza ex art. 569 c.p.c. la vendita
senza incanto determinando ai sensi dell’art. 568 c.p.c. il
valore del bene (ossia di norma riporta nell’ordinanza il valore
indicato dal perito stimatore), fissando il termine e le
modalità per la presentazione delle offerte e stabilendo le
forme ulteriori di pubblicità rispetto a quelle obbligatorie ;
b) il cancelliere provvede agli adempimenti pubblicitari;
c) tutti, tranne il debitore, possono presentare offerta in
cancelleria e l’offerta (irrevocabile per venti giorni) deve
contenere l’indicazione del prezzo offerto (che non può essere
inferiore a quello determinato nell’ordinanza), del tempo e del
modo del pagamento “e ogni altro elemento utile alla
valutazione”; unitamente all’offerta deve essere depositata una
cauzione non inferiore ad un decimo del prezzo offerto;
d) se vi è una sola offerta e questa non supera di almeno un
quarto il valore dell’immobile stabilito ex art. 568 c.p.c. è
sufficiente che all’udienza, fissata per sentire le parti e i
creditori iscritti non intervenuti, un solo creditore manifesti
il dissenso per non poter procedere alla vendita e passare al
sistema dell’incanto; se l’offerta supera di almeno un quarto il
valore dell’immobile il giudice proceda alla vendita se non
ritiene “che vi è seria probabilità di vendita all’incanto”;
e) se vi sono più offerte il giudice procede alla gara tra gli
offerenti sull’offerta più alta; se gli offerenti non effettuano
alcun rilancio e quindi non vi è la gara il giudice sceglie tra
disporre la vendita a favore del maggior offerente e ordinare
l’incanto. Anche in questo caso, si ritiene in dottrina, ogni
creditore ha la facoltà di impedire la vendita se il prezzo non
supera di almeno un quarto il valore del bene determinato
nell’ordinanza di vendita.
f) il giudice, se si procede all’aggiudicazione, stabilisce con
decreto il modo e il termine per il versamento del prezzo;
g) se il prezzo non è versato l’aggiudicatario è dichiarato
decaduto e perde la cauzione, salvo l’obbligo del versamento
della differenza ex art. 587 c. 2
h) se il prezzo è versato il giudice emette il decreto di
trasferimento.
Le principali differenze rispetto alla vendita con incanto sono
quindi le seguenti:
- nel termine stabilito gli interessati devono depositare
un’offerta irrevocabile di acquisto;
- l’offerta ha come unico limite quello relativo al prezzo (che
non può essere inferiore a quello stabilito nell’ordinanza)
mentre l’offerente può liberamente modularla quanto ai tempi e
alle modalità di pagamento;
- l’offerta è vincolante per l’offerente ma, se vi è una sola
offerta, il giudice (deve nel caso in cui lo chieda un creditore
e l’offerta non superi di almeno un quarto il valore determinato
nell’ordinanza di vendita) può non accoglierla e disporre, se lo
ritiene più conveniente, la vendita con incanto;
- se vi sono più offerte il giudice dispone la gara ma se non vi
sono rilanci il giudice
non è tenuto ad aggiudicare al miglior offerente potendo anche
optare per la vendita con incanto.
Con riferimento alla “riscoperta” della vendita senza incanto
(agevolata anche dal fatto che non si verifica mai che creditori
si oppongano all’aggiudicazione quando l’offerta non supera di
almeno un quarto il valore ex art. 568 c.p.c., rendendo del
tutto desueta questa previsione) nella prassi di alcuni
tribunali un problema interpretativo si è posto con riferimento
alla previsione dell’art. 575 c.p.c.: la norma dispone che se il
decreto con cui il giudice, aggiudicato il bene, determina i
tempi e le modalità del pagamento (così è generalmente inteso il
riferito al “decreto di cui al primo comma dell’articolo
precedente”) non è pronunciato entro due mesi dalla
pubblicazione dell’avviso ex art. 570, o entro quattro in caso
di proroga ai sensi dell’art. 575 c. 2 c.p.c., il giudice ordina
l’incanto.
Il problema è sorto con riferimento al fatto che per una
gestione efficiente della vendita è necessario che tra la
pubblicità e la data di deposito delle offerte decorra un
termine superiore a 60 giorni e che nella prassi di vari
tribunali si pronuncia, in caso di mancanza di offerte nel
termine, una seconda ordinanza di vendita senza incanto con
prezzo minimo ribassato.
Riguardo al superamento del termine dei 60 giorni non sussistono
particolari ostacoli a che il termine più lungo di quattro mesi
sia stabilito, con il consenso dei creditori, direttamente
nell’udienza in cui è pronunciata l’ordinanza di vendita,
potendosi ritenere che il consenso dei creditori integri una
richiesta ab origine di proroga: il termine di quattro mesi, se
vengono depositate le offerte al primo tentativo di vendita, è
di regola anche nella prassi rispettato (per concentrare i tempi
nella prassi non si aspetta il deposito delle offerte per
fissare l’udienza per l’audizione dei creditori: nella stessa
ordinanza di vendita si fissa sia il termine per il deposito
delle offerte sia, al giorno successivo, l’udienza per l’esame
delle offerte e per la gara tra gli offerenti, per cui nel caso
di offerte l’aggiudicazione interviene il giorno dopo la
scadenza del termine per la loro presentazione).
Va però soprattutto rilevato che secondo la dottrina prevalente
il termine di cui all’art. 475 c.p.c. è ordinatorio, traendosi
argomento dalla mancanza di una previsione legislativa che
dichiari perentorio il termine (previsione indispensabile ai
sensi dell’art. 152 c. 2 c.p.c.) e dalla previsione della
prorogabilità del termine su istanza del creditore ai sensi
dell’art. 475 c. 2 (posto che l’art. 153 c.p.c. esclude la
prorogabilità dei termini perentori).
Posto che secondo questo orientamento, seguito dalla richiamata
dottrina e dai tribunali in cui si dispone normalmente la
vendita senza incanto, i termini indicati nell’art. 475 c.p.c.
sono termini ordinatori, ne consegue che l’aggiudicazione può
intervenire anche, ad esempio, otto o dodici mesi dopo l’avviso
ex art. 570 c.p.c.
Quanto alla questione se possa essere pronunciata una seconda
ordinanza di vendita senza incanto (come accade nella prassi del
Tribunale di Monza e di altri tribunali) in dottrina si è
rilevato che la circostanza che l’art. 575 nulla disponga in
proposito è irrilevante in quanto anche l’art. 591 nulla prevede
con riferimento all’ipotesi di secondo incanto deserto eppure è
pacifico che il giudice possa disporre un terzo esperimento
d’asta. L’unico limite che la norma pone è quello temporale ma,
come si è visto, il termine di quattro mesi è comunque un
termine ordinatorio.
Rimane il problema se nella seconda ordinanza di vendita senza
incanto il giudice possa ridurre la precedente determinazione
del valore del bene ex art. 568 c.p.c. e quindi ridurre il
prezzo minimo che deve essere offerto. Al riguardo, nel senso
della legittimità della prassi, si è osservato che l’art. 568
non impone che il valore del bene ai fini della determinazione
del prezzo base di vendita debba essere quello di mercato, posto
che, ai sensi del 3° comma, il giudice non può basarsi sul
valore presunto ex art. 15 c.p.c. solo laddove questo risulti
“manifestamente inadeguato” ammettendosi così un certo
scostamento del prezzo base di vendita rispetto ai valori di
mercato. Si rileva inoltre che la previsione dell’art. 572 c. 2,
secondo cui il dissenso di un creditore impedisce la vendita se
l’offerta non supera di almeno un quarto il valore determinato
ai sensi dell’art. 568, trova una spiegazione razionale nella
prospettiva che il valore stabilito ai sensi dell’art. 568
c.p.c. possa essere inferiore a quello di mercato. Da questi
elementi si desume che il giudice possa rideterminare il valore
ex art. 568 c.p.c. riducendo il prezzo base, osservandosi che
l’offerente non acquista un diritto all’aggiudicazione al nuovo
valore, potendo sempre il giudice non accogliere l’offerta e
disporre la vendita con incanto. |
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Come si
precedentemente rilevato l’opzione per la vendita senza
incanto è il secondo pilastro delle prassi innovative volte
ad assicurare elevati standard di efficienza alle procedure
esecutive immobiliari.
Le ragioni per cui si è abbandonato il modello della vendita
con incanto sono state ripetutamente illustrate e pari
quindi opportuno rinviare agli articoli contenuti tra gli
allegati.
In questa sede si può rammentare che i punti critici
essenziali sono due.
Anzitutto non è previsto il deposito di un’offerta
irrevocabile prima dell’apertura dell’incanto per cui
l’incanto può andare deserto nonostante che uno o più
interessati abbiano depositato la relativa cauzione: questo
favorisce operazioni speculative, rende possibili accordi
illeciti per “pilotare” al ribasso le aste, consente la
partecipazione alle aste di soggetti che non hanno
intenzione di acquistare ma soltanto di estorcere “tangenti”
a danno degli altri partecipanti minacciando di far salire
strumentalmente il prezzo (partecipazione che è resa
possibile dal fatto che se questi soggetti si trovano ad
essere gli unici presenti possono ritirasi recuperando la
cauzione).
In secondo luogo la possibilità di riaprire la gara con
l’aumento del sesto non porta reali benefici: se non vi è
questa possibilità i soggetti disposti a pagare un prezzo
superiore di un sesto partecipano alla gara e quindi
l’aumento comunque si verifica (lo dimostra il fatto che nei
tribunali dove si è optato per la vendita senza incanto i
prezzi di aggiudicazione superano quelli base mediamente del
25-30%); la possibilità di effettuare l’aumento del sesto
deprime di per sé la dinamica della gara perché gli
offerenti sanno che l’ultimo rilancio non da comunque loro
il diritto all’aggiudicazione; la possibilità dell’aumento
del sesto raramente sfocia in un effettivo deposito
dell’offerta in aumento e spesso si risolve in una
contrattazione economica dopo la gara tra i più interessati
di cui né il creditore né il debitore traggono alcun
beneficio; soprattutto la possibilità di aumento del sesto è
diventato lo strumento per diffuse “estorsioni” a danno
degli aggiudicatari.
L’adozione del modello della vendita senza incanto,
accompagnato da un sistema di pubblicità efficace, elimina
alla radice queste dinamiche distorte. |
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Dott. Roberto
Fontana
giudice presso il Tribunale di Monza |
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P.S.:
al fine di una migliore comprensione delle problematiche
funzionali sottese alle riflessioni qui svolte
sull’attività del custode giudiziario e sulla vendita senza incanto
si ritiene opportuno aggiungere di seguito il
testo di una relazione su “Le vendite forzate immobiliari e la
ragionevole durata del processo esecutivo:
l’esperienza del Tribunale di Monza”svolta nell’incontro di studio
del 7/11/2003 organizzato dall’Ufficio del
referenti per la formazione decentrata del Distretto di Trento. |
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